Mito della neutralità

Si tratta di una narrazione secondo cui tecnologie, dispositivi, prodotti e servizi non sarebbero caratterizzabili di per sé come buoni o cattivi, ma che dipenderebbe tutto “dall'uso che se ne fa”.

Già McLuhan, quasi 60 anni fa, aveva dimostrato la fallacia di questo ragionamento:

“La nostra reazione convenzionale a tutti i media, secondo la quale ciò che conta è il modo in cui vengono usati, è l’opaca posizione dell’idiota tecnologico. [...] Gli effetti della tecnologia non si verificano infatti al livello delle opinioni o dei concetti, ma alterano costantemente, e senza incontrare resistenza, le reazioni sensoriali o le forme della percezione”.

Le tecnologie con cui entriamo in contatto sono sempre il risultato di molteplici decisioni e processi - umani e tecnici, individuali e di gruppo - guidati da cultura, schemi mentali, sensibilità e ideologia degli attori coinvolti.

In più gli effetti inconsci di tali tecnologie su chi vi interagisce - sulla sua struttura cerebrale, sulla sua sensorialità e sulla sua sensibilità - sono molto più potenti e decisivi rispetto al loro contenuto visibile o al loro scopo immediato.

Nell'esperienza che abbiamo del mondo, e in particolare di ciò che è stato trasformato dall’artificio umano, non vi è nulla di neutrale.

Lo vediamo in modo ancora più lampante oggi nella nostra interazione con i dati e le intelligenze artificiali: non siamo più in presenza di dispositivi da interrogare in cerca di risposte, ma di entità socio-tecniche - con i loro limiti e i loro bias - che ci impongono una relazione e una negoziazione continua di senso e di significati, e con le quali siamo già in uno stretto rapporto di coevoluzione.

Riferimenti bibliografici:

M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare. Milano: Il Saggiatore, 1967.

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